Recensione: Mai stati così felici

Titolo: Mai stati così felici

Autore: Claire Lombardo

Editore: Bompiani

Pagine: 676

Questo libro scoppia d’amore…
Uno dei romanzi più intensi, struggenti, dolorosi, catartici che abbia letto in questi ultimi anni… quasi 700 pagine scritte con l’anima, traboccanti una conoscenza delle dinamiche famigliari sconvolgente… un “lessico famigliare” del 21°secolo… “Un’orchestrazione precisa di emozioni deliberatamente casuali. Forse tutti i rapporti umani si riducono a questo.” È per questo che amo gli scrittori e le scrittrici americani: nessuno come loro sa essere spietato, terribilmente sincero nella scrittura, disincantato…
“L’ostinazione della vita nell’accostare l’oscurità alla luce non avrebbe mai smesso di stupirlo” e in queste pagine eccellenti questo alternare continuamente luce e ombra crea un costante “pathos” nel pieno senso di coinvolgimento emotivo, emozionale fin nelle nostre corde più ime…
“… a Violet venne in mente che erano i momenti come quelli a rendere la vita degna di essere vissuta, quei brevi lampi di felicità nella baraonda del quotidiano…”: siamo avvolti, avviluppati nelle spire di questa famiglia stupenda, non idilliaca: reale, e viviamo appieno tutte le loro vicende, diventiamo anche noi membri della famiglia Sorenson… e su tutto… l’amore di Marilyn e David… ineguagliabile, inarrivabile, perenne faro e punto fermo nella vita delle loro quattro figlie… devo fermarmi perchè, come sapete, non voglio anticiparvi nulla, solo provare a stuzzicare leggermente il vostro appetito… vi garantisco che i sapori che gusterete attraverso queste pagine saranno corposi, pieni, appaganti, pungenti, voluttuosi, vellutati… insomma: una gamma completa per le vostre papille “libresche”! Vi confesso che proprio dalla primissima pagina ho capito che sarebbe stato uno di quei libri da tenere sul mio scaffale speciale, ho centellinato e piluccato le pagine perchè non volevo proprio arrivare alla fine… e giunta alle ultime venti pagine… lo confesso: l’ho sospeso! Avevo il magone al pensiero di dover salutare i protagonisti! Ho resistito un giorno naturalmente e poi ho dovuto leggerle ed accomiatarmi, con una malinconia assurda perchè sarei voluta rimanere anch’io a trascorrere con i Sorenson il secondo giorno del ringraziamento!

Recensione: Il mare senza stelle…

TITOLO: Il mare senza stelle
AUTRICE: Erin Morgenstern
EDITORE: Fazi Editore
PAGINE: 615

“Tutti vogliono le stelle. Tutti desiderano afferrare quello che è fuori portata. Stringere fra le mani lo straordinario e mettersi in tasca l’eccezionale.”
Se non credete belle favole… ma crederci davvero proprio… non iniziate neppure questo libro! Preparatevi ad un viaggio psichedelico. Fin dalla prima pagina verrete inghiottiti dal vortice visionario e trasfigurante di questa meta e trans narrazione. Ammetto che la mia unica esperienza che si possa ascrivere più o meno al genere fantasy è stata La storia infinita, anche se… il romanzo di Michel Ende per quelli della mia generazione è stato tanto tanto altro e ha continuato ad esserlo anche da adulta e docente sul piano della narratologia. Comunque, in teoria questo di Morgenstern è un libro fantasy. È scontato che si ravvisino delle contiguità sul piano strettamente “tecnico” e della struttura con alcuni testi di Calvino, subito mi viene in mente un suo che ho molto amato “Se una notte d’inverno un viaggiatore” e poi andando ancora più lontano, con il Satyricon di Petronio, ciò per quanto riguarda l’essere un metà romanzo, un romanzo nel romanzo in un altro romanzo e ancora di seguito… l’autrice è un’artista multimediale, questo -per me- depone a suo favore vista la mia formazione universitaria e la mia laurea in storia dell’arte contemporanea. Come la gran parte degli ambiti dell’arte contemporanea, anche l’arte multimediale, al di là dei supporti di cui si avvale, ha molto del concettuale e del cerebrale. Ditemi se queste parole, alcune tra le tante, non sono commoventemente avvolgenti: “Si è liberato dai viluppi dei tralci carichi di fiori colmi di storie. Ha attraversato cumuli di tazze da tè abbandonate con i testi cotti al forno nella loro glassa screpolata. Ha guadato stagni d’inchiostro e lasciato impronte che hanno formato storie nella sua scia, storie che lui non si è voltato a leggere.” Questo romanzo è decisamente un’esperienza artistica tra il concettuale e il cerebrale. Non troverete capitoli di pagine e pagine e pagine bensì brevi capitoletti disposti a incastro: uno è sul piano del reale l’altro del meta reale e così via… il ritmo dunque è quasi da videogame, non faccio questo riferimento a caso, e passate rapidamente da un “quadro” all’altro. Alcuni elementi potranno ricordarvi Alice nel paese delle meraviglie ma… badate: quella che dovrebbero ricordarvi è la versione originale di L. Carrol e non la versione Disney… Se vi approccerete a questo romanzo con gli strumenti della ragione e della “normale” comprensione… non ci capirete nulla, e vi sembrerà un fiume delirante di idee assurde… per apprezzarlo dovrete liberarvi dagli orpelli della razionalità, accedere ad una dimensione altra e lasciarvi andare, lasciarvi rapire da questo viaggio e abbandonarvi al flusso delle visioni senza opporre resistenza…”(…) non è mai troppo tardi per cambiare quello che sei(..)”… questo libro meraviglioso ci parla delle innumerevoli possibilità che possiamo avere, delle innumerevoli vite che possiamo vivere se solo non ce ne negassimo l’opportunità… e ci mostra le miriadi di incarnazioni di noi stessi che siamo stati senza neppure rendercene conto…ah, un’ultima cosa: dopo questo libro… le porte avranno un senso differente per voi…

RECENSIONE: LA STRANA E LUNGA ESTATE AL GIARDINO DELL’ANGELO

RECENSIONE: DONNE CHE COMPRANO FIORI
AUTORE: VANESSA DI MONTFORT
EDITORE: FELTRINELLI
PAGINE: 370

Sei donne ed una strana e lunga estate a Madrid, in un cortile fiorito, profumato e variopinto. Come variopinti sono i mondi che ognuna di esse porta con sè. Donne comuni e tutte diverse tra loro, che proprio per questo si scelgono e scelgono questo giardino come angolo “dove rifugiarsi che non appartenga a nessun altro” e dove poter essere finalmente libere davanti ad un fresco bicchiere di vino, libere si sfogarsi senza essere giudicate, libere dai ruoli sociali. Sono mamme mogli manager imprenditrici commesse amanti… su tutto: sono donne. Donne che spesso dimenticano se stesse. Come solo le donne sanno fare. Impossibile non riconoscere nelle protagoniste qualche tratto che ci accomuni a loro… non c’è traccia di compatimento però, badate bene, nonostante le vite ingarbugliate -emotivamente ed interiormente- che ciascuna ha, sono donne ferme, determinate, coraggiose, forti e dignitose. Donne che non trovano l’uomo giusto: o troppo spaventato dal loro essere libere o troppo poco spaventato. Sicché… si ritrovano tra loro. Donne che, come tutti, non sanno stare senza amore.
E questo romanzo è anche la storia di un cuore che riprende a battere e pulsare di vita, di una donna che rinasce e si mette finalmente al timone della propria esistenza. Quell’esistenza che non aveva mai pensato di essere in grado di governare da sola e di doversi necessariamente appoggiate ad un uomo e invece… scopre di essere capace. E di essere anche brava. Una donna che impara a “non rimanere ancorata, ormeggiata, in secca nel bacino di carenaggio per tutta la vita. Perché una barca che resta molto in porto si arrugginisce e marcisce”.
Già la copertina trasmette una straordinaria energia: papaveri rossi, simboleggianti consolazione, oblio, orgoglio, su fondo azzurro vivace.
Leggerete con un sorriso e un velo di malinconia storie di chi “avrà lasciato la sua precedente esistenza che lo costringeva a strisciare a terra… e inizierà a volare!”, di chi decide a un certo punto di fare il grande salto, di cogliere l’opportunità che la vita offre loro di ribaltare la propria esistenza e uscire dall’adolescenza, crescere, di chi accetta il rischio di conoscersi pienamente, completamente.
Storie di donne che, alla fine, ce la fanno. Sempre.

RECENSIONE: LE SETTE SORELLE, SAGA di LUCINDA RILEY

Lo ammetto: le saghe mi piacciono tanto. E confesso di essere stata rapita, nuovamente, da una di esse. Mi è già accaduto con la saga dei Cazalet di E. J. Howard, ora è accaduto con Lucinda Riley e la saga delle Sette Sorelle: Le Sette Sorelle, Ally nella tempesta, La ragazza nell’ombra, La ragazza delle perle. Ho scoperto la Riley casualmente e non è stato amore a prima vista. Ho esitato a lungo prima di approcciarmi ai suoi romanzi, carica di pregiudizi e con un po’ di puzza sotto il naso. Diffido dei grandi successi di pubblico perché il confine tra (inter)nazionalpopolare e banale è molto molto labile. Spesso però, non sempre: spesso, si cade in errore a causa dei preconcetti. Così è stato in questo caso. È successo in passato con i romanzi di Rosamunde Pilcher, che adoro, ai quali mi approcciai da universitaria quasi per gioco: volevo una pausa di leggerezza nelle estenuanti ore di studio; cominciato uno: I cercatori di conchiglie, mi sono perdutamente innamorata e non sono più riuscita a smettere di leggerli finché non li ho esauriti. Così è successo ancora. Ho acquistato le Sette Sorelle davvero diffidente. L’ho cominciato dopo settimane… e non l’ho mollato fino a quando non l’ho terminato dopo appena 48 ore. Non ho potuto che soggiacere alla compulsività e procurarmi gli altri volumi, divorati con altrettanta voracità.
È una saga appassionante, coinvolgente sin dalla prima pagina. Avvincente sia sul piano della trama sia su quello dell’intreccio. C’è tutto: amore, amicizia, avventura, racconto storico, epopea familiare. Quello che valuto in primis quando leggo un romanzo e la costruzione dei personaggi, in questo caso essa è notevole: ogni protagonista ha grande spazio: un intero volume per ognuna delle sorelle, e apprezzo particolarmente le opere che alternano analessi alla narrazione: mi piace viaggiare con la mente e soprattutto non si corre il rischio di annoiare il lettore, la cui attenzione è tenuta desta dalle pause pseudotemporali che gli sono concesse. Ben scritti, non dei capolavori linguistici ma qui non conta quest’aspetto. Si parte per ogni volume da un evento che scardina gli equilibri e determina la rottura del sistema iniziale: la morte del padre adottivo delle sorelle. Ognuna di loro reagirà in misura e modo differente. Il padre lascia loro in eredità degli indizi per ricostruire le origini di ciascuna. La lettura vi scaturirà tante domande… perché incentivare il loro viaggio alla scoperta di se stesse? Ma soprattutto, alla fine di ogni volume, vi chiederete: “ma… come può essere? Ma… sarà davvero morto?”.
La Riley val bene una “messa” da parte di pregiudizi: provare per credere. La saga non è ancora terminata, rimangono da conoscere ancora le altre sorelle: attenderete anche voi con ansia la pubblicazione delle loro storie.

RECENSIONE: LA FELICITÀ ARRIVA QUANDO SCEGLI DI CAMBIARE VITA di RAPHAELLE GIORDANO

Iper arroganza maschile acuta. Sapete di cosa si tratta? Io non la conoscevo. Prima di questo libro. Imparerete a conoscerla e a riconoscerla e vi stupirete, neanche tanto forse, di individuarla in molte vostre conoscenze femminili. È la tendenza a dominare con arroganza, ad affermare la propria presenza con la prepotenza, è l’egocentrismo esasperato, è l’imposizione del sé sugli altri, la pervicace convinzione di essere sempre e comunque interessanti e degni di ascolto…. E naturalmente è la maschera dietro cui si cela una pletora di insicurezze. Non si tratta di un manuale di spicciola psicologia, occorre precisare. È un romanzo. Sull’importanza del mettersi continuamente in discussione, dello scendere dai piedistalli sui quali ci ergiamo spesso ingiustificatamente, sul non darci mai per scontati. E soprattutto sull’umiltà. E su come la vita ci destabilizzi e obblighi a rivedere le priorità.
Mai pensare che sia finita, che nulla cambierà più, che le cose stanno così e basta, che è inutile stare a rimuginare perché non si può tornare indietro: c’è sempre tempo, basta volerlo… e la nostra vita può cambiare radicalmente…
È un libro ben scritto, un linguaggio non banale che mischia parlato a lessico specialistico. L’approccio è leggero ma non superficiale. La protagonista cura dei seminari sulla problematica, appunto, dell’iperarroganza. Seminari molto seguiti da un’utenza eterogenea. Vi incuriosiranno le attività proposte nei gruppi e alcune sono davvero interessanti da riproporre negli ambiti lavorativi che lo consentano.
Si legge velocemente e senza accorgervene sarete arrivati al momento di svolta nel racconto… già, perché ovviamente all’improvviso tutto cambia… e la vostra curiosità sarà affamata di conoscere sì le sorti dei vari partecipanti al seminario ma anche e soprattutto di due persone in particolare…
È un libro colorato e curato e non vi annoierà. Un difetto forse può essere proprio quello di durare poco!

RECENSIONE: SEMBRAVA UNA FELICITÀ di JENNY OFFIL

Che libro faticoso… coinvolgente e faticoso. Uno stream of consciousness rivisitato dal punto di vista femminile, i pensieri vengono quasi “vomitati” convulsamente sul foglio ma l’autrice non è completamente “libera” così da poter anche derogare alla punteggiatura così… quasi per mitigare la propria irruenza per la quale si sente colpevole… si concede corsivi, al massimo, ma la punteggiatura rimane: non si può essere totalmente indulgenti con se stesse! Si sente in colpa come moglie, come madre, come lavoratrice. Un viaggio forsennato… mentre però quello dello Ulysses – di Joyciana memoria- era dentro di sé, alla scoperta dei propri limiti, del proprio io, nel tentativo di possedersi… qui il viaggio è un disperato tentativo di perdersi, di fuggire da sé, di reinventarsi e scoprirsi nuova. Periodi rocamboleschi si inseguono e danno le vertigini.
Ho fatto fatica a leggerlo… perché ti sbatte in faccia un sacco di quei pensieri che spesso noi donne nascondiamo sotto il tappeto. Questo libro parla di attenzione, di quell’attenzione verso chi abbiamo accanto ogni giorno della nostra vita e che spesso non ne beneficia… di quell’attenzione che troppo di frequente dimentichiamo, della cura indispensabile in un rapporto d’amore… dell’impegno che richiede, costante… E non si tratta dell’abitudine: l’abitudine è rassicurante, confortante, incoraggiante. Si tratta dell’abituarsi. L’abitudine è oggettiva e contingente, l’abituarsi è soggettivo e persistente. E logora. E lacera. Perché spesso accade che dimentichiamo la magia dell’amore fagocitati dalla quotidianità, che smarriamo la luce degli occhi di chi amiamo e ce ne ricordiamo disperatamente solo quando la metà del mondo che abbiamo accantonato ci urla contro il suo senso di abbandono e ci riporta alla realtà… Questo romanzo parla dell’attenzione che serve per non perdersi dietro alle “cose” di ogni giorno… dell’attenzione fondamentale per ricordarsi che a volte bisogna dimenticare di dare un nome alle “cose”, appunto, e semplicemente abbandonarsi al flusso dell’esistente senza affannarsi ad acciuffarlo…

RECENSIONE: LA LOCANDA DEGLI AMORI SOSPESI, di Viviana Picchiarelli

IL CORAGGIO DEGLI AMORI SOSPESI…

20180512_150247132460808.pngChe uso meraviglioso della punteggiatura! Scusatemi ma la mia deformazione professionale mi influenza anche nella lettura: non posso non apprezzare un utilizzo accorto e generoso della punteggiatura, risorsa così preziosa per la scrittura, e dell’ortografia! Fin dalle prime pagine ho potuto assaporare un sapiente ricorso a virgole et similia. Per chi ha questa mia stessa “fissazione”, tale aspetto è tutt’altro che trascurabile o secondario. Anzi: è un presupposto irrinunciabile per una lettura piacevole, godibile, gustosa. Che gioia non incespicare a intervalli irregolari in una virgola messa al posto sbagliato o un accento di troppo. Le parole scorrono gentilmente sotto gli occhi e si cammina in una passeggiata rilassante e ritemprante.
Se siete innamorati delle parole di carta non potrete già, da subito, non entusiasmarvi all’idea dell’esistenza di una Locanda di tal fatta: una riserva per questa specie protetta che va sotto il nome di: “lettore”. Ciò basterebbe per amare questo libro, ma non basta, perché c’è tanto altro… su tutto, lo struggente fascino degli amore sospesi… degli amori non finiti, lasciati a metà… quegli amori non del tutto compiuti che scavano dentro e tracciano solchi e sentieri sui quali poi la vita ok: scorre ma… i passi che si compiono risuonano per sempre del rumore della nostalgia, ammantata di rimpianti o rimorsi, a seconda. Quegli amori che, nel bene o nel male, una volta sfiorati segnano irrimediabilmente le nostre esistenze e le improntano e definiscono: noi siamo il frutto degli amori che ci hanno solo lambito, senza sommergerci… Attenzione però: qui non si parla solo e semplicemente di amori sospesi tra esseri umani, si parla anche e soprattutto degli amori sospesi di ognuno di noi con se stesso e i propri sogni, aspirazioni, desideri, troppo spesso accarezzati e poi sopiti e surclassati dalle esigenze del contingente… ma esiste un modo per liberarsi da un sogno, che non sia quello di lasciarsene travolgere?No.
E poi è un libro sul coraggio, sul coraggio di crederci… di credere che è possibile reinventarsi, ricominciare… sul darsi una seconda possibilità… perchè la vita è fatta spesso di scelte di opportunità, di convenienza, opportuniste, di comodo… chiamiamole come vogliamo ma scelte non “di pancia” bensì “di testa”. E non portano mai da nessuna parte: imbocchiamo vicoli ciechi e arrivati al muro… non resta che tornare indietro e cambiare strada o provare a scavalcarlo quel muro… comunque:cambiare.
E poi, ancora, ci sono dei risvolti che un lettore attento auspica, nei quali spera… ma che non è detto ci siano perché a volte si rimane delusi… e invece no: in questo caso quel qualcosa che a un certo punto si insinua nella mente… accade… e non posso aggiungere altro se non che, anche qui, come dovunque, è l’amore che salva.
È un libro multitono: allegro, nostalgico, amaro, romantico, serio… non potrete stancarvi o annoiarvi.
Insomma… Viene proprio voglia di cercare l’indirizzo e prenotare un soggiorno al più presto…!

RECENSIONE: LA FATTORIA DEI GELSOMINI

RECENSIONE: LA FATTORIA DEI GELSOMINI
AUTORE: ELIZABETH VON ARNIM
EDITORE: FAZI
PAG: 347

Personalmente adoro Elizabeth Von Arnim, trovo la sua narrazione spassosissima. La Fattoria dei Gelsomini non delude in tal senso. Siamo invitati a trascorrere il weekend in una delle residenze, siamo nella campagna inglese, di Lady Midhurst. La scena d’apertura ci vede seduti ancora, dopo un estenuante pranzo, a tavola, a soffrire per la calura soffocante… e per l’uva spina ingerita in varie fogge. La regista narratrice ci fa conoscere ad uno ad uno i nostri commensali zoomando progressivamente sui pensieri, accaldati e annebbiati, di ognuno di essi. Da subito, come consueto nei romanzi della Von Arnim, nasceranno in noi le prime simpatie e antipatie ma… pazientate e date tempo ad ognuno di farsi conoscere. Il weekend si comincia a movimentare molto presto e lo sarà sempre più… Il tenore del romanzo è di leggiadria: che godimento leggerlo e sorridere ad ogni riga per l’ironia e il cinismo tutto inglese che si acquattano dietro ogni parola. Un esempio: “Un collasso così completo, una tale rapidità nel raggiungere lo stato di morte clinica dell’amore non corrispondeva a nessuna esperienza di Mumsie. I mariti a lungo andare si raffreddano, lo sapeva, ma ci mettevano un po’ di tempo prima di arrivare a quel punto; questo qui si era spento all’improvviso e a nulla erano valsi gli sforzi di entrambe per resuscitarlo.”. È un romanzo che trasuda ipocrisia e perbenismo, le reali intenzioni di ognuno dei protagonisti sono ben celate e ammantate dal politically correct; ma, attenzione, la narratrice ce lo fa capire chiaramente: lei non approva tale atteggiamento. È un romanzo molto inglese: non pensiate di trovare uno sguardo compassionevole e lacrimevole sulle miserie umane, vige la regola del “castigare ridendo mores”. Non riuscirete a non sorridere ad ogni piè sospinto. Naturalmente nel caso di questa autrice non si può non fare un apprezzamento sulla sua capacità di descrizione degli ambienti in cui si svolge la vicenda narrata, anche in questo caso sarete rapiti e conquistati: vi sembrerà di indossare voi stessi gli abiti descritti e indossati da Rosie, avrete l’impressione di conoscere ogni angolo della casa di campagna di Lady Midhurst e il giardino della stessa… una icasticità e incisività nel raccontare davvero deliziose!
Lettura godibilissima. Il racconto vi rapirà, sia per lo stile: scorrevole, arioso, colorato e brioso, sia per la vicenda stessa che si dipana… già, perché quello che parte come un tranquillo weekend di campagna, sebbene torrido e “alterato” (odierete l’uva spina senza averla magari mai mangiata!) virerà all’improvviso verso uno scandalo che vi lascerà a bocca aperta e avrete una voglia matta di stare a vedere come andrà a finire. Stuzzicherà la vostra curiosità e la incontrollabile voglia di gossip in misura sicuramente maggiore ed in maniera senza ombra di dubbio più edificante di qualsiasi soap opera o trasmissione televisiva: vi dispiacerà davvero tanto non poter telefonare o andare a trovare le protagoniste per poter spettegolare di persona su ciò che accade! Bellissimo, davvero un romanzo bellissimo e divertentissimo. Arriverete alla fine delle quasi 400 pagine… e ne vorrete ancora!20180317_1757291288588362.jpg

RECENSIONE: LA FELICITÀ DOMESTICA, LEV TOLSTOJ

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RECENSIONE DI
LA FELICITÀ DOMESTICA
TITOLO La Felicità domestica
AUTORE Lev Tolstoj
EDITORE Fazi
PAG 143

Questo è un libro garbato, composto, pacato. Inizialmente sembrerà rilassante… alla fine lascia un senso di amarezza, nostalgìa… non è un libro allegro, no. Quella che viene raccontata è la vicenda di un amore, con andamento parabolico. Un amore tra due persone di età molto differenti. Si comincia con l’entusiasmo arazionale dei due innamorati, dimentichi delle contingenze che ostino alla loro felicità che pare imperitura e invece… durerà così poco, soppiantata dalla “familiarità” tra loro che prende il posto della passione e della brama di viversi. È estremamente moderno e si legge d’un fiato però… vi consiglio di piluccarlo… è un autentico piacere leggerlo nella traduzione di Clemente Rebora: la prosa viene quasi poetizzata. Occorrerebbe leggerlo due volte poiché di primo acchito è inevitabile venire rapiti dallo stile del traduttore: pare d’intravedere la cura di un giardiniere nell’accudire le parole e presentarcele rigogliose e grondanti rugiada, davvero commovente. Le scelte lessicali sono meravigliose, le pagine sono costellate di gemme come “sgrondìo”, “rispiumacciarono”. Un esempio tra i tanti: “Da ogni parre più intensamente si espanse il profumo dei fiori: copiosa rugiada l’erba irrorava: un usignolo non lungi, nel folto delle serenelle, prese a ciangottare, e udite le voci nostre, si tacque: stellato il cielo quasi fosse disceso su noi”, come non rimanere sazi di tanta bellezza?
La seconda lettura ci consente, paghi della bellezza stilistica, di apprezzare la narrazione tolstojana tout court. E di soffermarci sulla trama. Essenziale, semplice, non ci sono misteri da svelare, intrecci da seguire. La protagonista ci apre il suo cuore e con chiarezza e sincerità ci parla del suo matrimonio e del suo amore. Come sempre Tolstoj mostra di conoscere terribilmente l’animo femminile e dar voce ai pensieri che mai si direbbero. Lo disvela nella sua volubilità, nel senso di frustrante e ingiustificata insoddisfazione, nell’immaturità di fondo, nell’irriconoscenza. Eppure… come sempre… il suo è uno sguardo duro sì, implacabile, non fa sconti ma… non giudica mai. Ed è questo che rende il tutto così “amaro”: il comprendere che le parole cui si dà voce sono davvero quelle, non c’è il giudizio dell’autore, non c’è stigmatizzazione… non può non turbare questa lettura ma… non può non piacere.
Questo romanzo è un gioiellino. Rifletterete sull’amore non banalmente. Su come esso si modifichi negli anni e se sia un bene o in male. Delizioso, ecco, un romanzo delizioso.

RECENSIONE: UN INCANTEVOLE APRILE, DI ELIZABETH VON ARNIM

TITOLO: Un incantevole Aprile

AUTORE: Elizabeth Von Arnim

EDITORE: FAZI

ANNO: 1921

EDIZIONE: 2017

PAGINE: 287

 

Preparatevi ad un viaggio in un paesino sospeso tra realtà e incanto… preparatevi a varcare la soglia del giardino variopinto e odoroso di San Salvatore… e preparatevi ad uscirne rinate… beh: sempre ammesso che vogliate uscirne e tornare alle vostre vecchie vite… piuttosto che chiudere dietro di voi il cancello e scoprirvi nuove e ricche di gemme…

Quattro donne, molto diverse tra loro… in realtà accomunate dall’unico bisogno che le tormenta: quello di essere amate nella loro essenza di donne, al di là del ruolo che la società si aspetta esse rivestano. “Così nacque l’idea; ma, come spesso accade, chi la concepiva al momento non ne era consapevole”: come tutto ciò che di costruttivo si faccia e concepisca nella vita scaturisca spesso da pura casualità, da gocce minuscole che cadono sul pavimento della nostra mente e sedimentano progressivamente dando vita a frutti inaspettati. E così avviene per queste figure femminili… che decidono di trascorrere un mese “sabbatico”, in fuga da mariti o da se stesse, a San Salvatore, in Liguria. Pian piano San Salvatore diviene il luogo del risveglio per tutte. La prima e più predisposta è Mrs. Wilkins ma lentamente anche le altre si liberano e si alleggeriscono; da un’iniziale diffidenza nei confronti di Lotty (Mrs. Wilkins) passano ad amare ed invidiare la sua libertà interiore e al desiderio di poter partecipare anch’esse di quello stato d’animo. Lotty, che sembrava la più ingenua, svampita, sempliciotta, svela progressivamente in realtà il contesto dove si trovava a vivere come inadeguato, inadatto a comprenderla, gretto, come le impedisse di disvelare la sua vera natura di creatura libera, dalla mente brillante e dall’animo magico e temperamento coinvolgente. Lotty, la sognatrice, riesce a far sciogliere tutte… È un libro delicato, gentile, che procede in punta di piedi. Scorrevole dall’inizio alla fine, si legge davvero con estrema agevolezza. È all’apparenza leggero, friabile… in realtà ci propone delle figure di donne emblematiche. La prima che conosciamo è Mrs. Wilkins e di primo acchito ci si offre come una donna estremamente fragile, insicura, indifesa, sprovveduta… impariamo a conoscerla e scopriamo chi è in realtà. Ci si svela come una figura che è un inno alla vita, alla gioia di vivere, al desiderio di amare ed essere amata. É una donna estremamente positiva, carismatica: conquisterà tutte le sue compagne di avventura. Il suo approccio, all’apparenza superficiale e lieve si rivela come in realtà caratterizzato da una estrema sensibilità e profondità d’animo. Ecco poi che conosciamo Mrs. Arbuthnot, che ci appare da subito come la classica donna “tutta d’un pezzo”, impeccabile, di ottimi principi e ottime pratiche, tutta versata nel volontariato e nel servizio agli altri, pudìca, onesta e timorata di Dio… ma le crepe e le falle in questo “organismo” che pare perfetto si mostrano presto. Un marito lontano, che è ormai divenuto un estraneo, che non è più l’uomo che ha sposato e di cui si è innamorata. San Salvatore opera il miracolo anche in lei, che si rende pian piano conto che la fede è stata semplicemente un rifugio, un ripiego per non sentire il male per il non amore da parte del marito. Anzi, la fede è stata per lei una gabbia,una prigione che le ha impedito di lasciarsi andare al sentimento, libera da preconcetti e pregiudizi. E poi le comprimarie, Lady Caroline e Mrs. Fisher, che sicuramente non suscitano particolari simpatie iniziali nel lettore per diversi motivi: troppo sostenute, impostate, fredde e distaccate. Saranno anche loro due sorprese… Si arriva quasi alla fine con un quadro che sembra piano, chiaro, definito quand’ecco che tutto subisce uno scossone e si susseguono dei colpi di scena fino ad un finale che non saprei se definire lieto o meno…